Siamo in Afghanistan. Come fanno i terroristi a convincere delle persone a sacrificare la propria vita per ucciderne altre? Qual è la psicologia del terrore? Il loro obiettivo è quello di ferire quanti più “infedeli” possibili in un attentato oppure è un altro, forse più subdolo e pericoloso?
In questo articolo proveremo a fare un po’ di chiarezza, prendendo spunto dalle preoccupanti vicissitudini che stanno susseguendosi a Kabul, capitale dell’Afghanistan. Lo Stato Islamico e o Talebano, affascina e attrae. Come ogni fondamentalismo, afferma di poter dare risposte certe e ricompense inestimabili a chi ha bisogno di certezze.
Crea un gruppo buono che viene messo in contrapposizione ad un gruppo esterno cattivo: gli infedeli. Sostiene di poter rivelare il significato della vita a chi decide di abbracciare la sua causa. L’organizzazione, pone le sue fondamenta su una religione, ma la sua potenza è di natura psicologica. Questo tipo di Stato sfrutta la situazione di disagio di chi vive in zone degradate, la disperazione di chi rischia di non poter portare il piatto a tavola ai propri figli e vende il sogno di un grande popolo arabo unito e forte. Sfruttando questi vuoti istituzionali, i jihadisti hanno offerto welfare, istruzione e lavoro alle popolazioni locali, ottenendo in cambio la loro lealtà.
I VERI OBIETTIVI IN AFGHANISTAN
La musica viene usata per rinforzare l’identità dell’organizzazione nell’immaginario collettivo. I messaggi pubblicati sono pensati per stimolare quei soggetti facilmente suggestionabili. La spaventosa propaganda terroristica è ciò che ci fa capire che abbiamo di fronte a noi un nemico intelligente, molto lontano dall’idea degli “ignoranti tagliagole” che molti hanno. Lo Stato ha dunque ivi, un’attrazione morbosa per i nuovi media. Quando si pianifica un attentato, in realtà, gli obiettivi non sono le persone che cadranno vittime della follia omicida dei terroristi. I veri obiettivi in Afghanistan sono quelli su cui non si esercita violenza fisica, cioè quelle persone che resteranno a guardare con orrore la tragedia.
In passato i cittadini potevano informarsi sui giornali o grazie alla narrazione di abili reporter. Per quanto questi ultimi potessero essere abili narratori, però, vi era sempre un grado di separazione tra ciò che succedeva sul luogo dell’attentato e il telespettatore. Con internet tutto è cambiato. I cittadini sono catapultati nel conflitto sanguinario. Ne diventano testimoni, ricevono in diretta gli aggiornamenti e spesso possono leggere i tweet di chi chiede aiuto mentre si trova intrappolato in una situazione. Possiamo quindi dire che l’atto terroristico e la sua spettacolarizzazione servono a ridurre il senso di controllo che ognuno di noi sente di avere sulla propria vita quotidiana. Non c’è niente di più spaventoso per un essere umano di non riuscire ad avere un certo grado di controllo del quotidiano, di non riuscire a prevedere cosa accadrà il mattino dopo essere andato a dormire. Tutto questo fa sprofondare le persone in uno stato di profonda impotenza.
IL TERRORISMO E’ MANIPOLAZIONE
Quando succede questo su vasta scala, la partita è chiusa: le masse sono in balìa degli abili strateghi del terrore. Il terrorismo è manipolazione. Clark R. McCauley, professore di psicologia al Bryn Mawr College, afferma che “Il terrorismo infligge danni immediati, distrugge vite e oggetti, ma la verità è che i terroristi sperano che i costi a lungo termine saranno molto più grandi“. I terroristi vogliono creare paura e incertezza ben oltre le vittime che gli capitano a tiro. Vogliono che il nemico sprechi tutto il suo tempo a pensare angosciosamente al prossimo attacco e che sperperi tutto il suo denaro nella sicurezza.
“In effetti – aggiunge McCauley – i terroristi mirano a creare una gigantesca tassa sulla testa dei cittadini dello Stato nemico. Una tassa che costringe a trasferire risorse che sarebbero potute essere usate per scopi produttivi al posto di misure di sicurezza anti-produttive“.