Oscuro e malinconico narratore della vita per quello che è e non per quello che vorremmo che sia. Mark Lanegan è stato un punto di riferimento assoluto per tutti coloro che si sono approcciati alla musica rock. In particolar modo tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.
Ispiratore con la sua band, gli Screaming Trees, della scena grunge che esplose attorno a Seattle all’inizio della decade. Non raggiunse mai la notorietà dei suoi figliocci artistici pur con una produzione musicale di livello altissimo sia con la band che come solista. La storia musicale di Mark Lanegan e degli Screaming trees in quegli anni se non sfortunata si può certo considerare avara delle soddisfazioni che avrebbero meritato. Se la band batteva territori hard rock psichedelico, certamente di meno immediato impatto rispetto al rock di successo in quegli anni, i dischi in solo si rifacevano a un folk/blues oscuro e profondo. Ispirato questo direttamente da quel buco nell’anima che stava inghiottendo il cantante americano in maniera non dissimile a quanto stava accadendo al collega e amico fraterno Kurt Cobain.
MARK LANEGAN NELL’ABISSO DI ALCOOL E DROGHE
I suoi anni ’90 furono una continua discesa nell’abisso anche a causa della dipendenza da alcool e droghe. Lo scioglimento degli Screaming Trees sembrava essere l’inizio della fine di una parabola destinata, come tante in quegli anni, ad esaurirsi in fretta. Invece, toccato il fondo, Mark Lanegan si rialza e ritorna alla musica, chiudendo, con un degno epilogo, la storia della band. Poi, alla fine del secolo, riprendendo il proprio percorso artistico da solista con una miriade di collaborazioni.
Fu chiamato da Josh Homme per alcuni brani di “Songs for the deaf“, il capolavoro dei Queens of The stone age. Pubblicò anche dischi con Isobel Campbell, ex Belle and Sebastián, e Greg Dulli, nel progetto Gutter Twins, senza rinunciare a produzioni in solo. La cifra stilistica di Dark Mark è tutta nel folk/blues delle sue canzoni, malato e intenso. Così come nel suo timbro vocale, gutturale e oscuro, perfetto per le storie perdute narrate nei suoi brani, nella profonda e cruda sincerità delle sue parole.
Gli eccessi ne minarono la salute ma non ne hanno mai limitato il talento. Consentendogli di sfornare dischi di gran livello fino alla fine, ultimo dei quali la collaborazione con Joe Cardamone nell’album Dark Mark Vs Skeleton Joe, e di pubblicare, negli ultimi 2 anni, due libri di memorie. In “Devil in a coma” racconta la sua esperienza col covid 19, che lo ha costretto a 10 giorni di coma farmacologico e a rivedere le sue posizioni, a dir poco scettiche, sulla pandemia. Mentre in “Sing backwards and weep“, lettura consigliatissima per gli amanti della scena di Seattle, Mark ripercorre il periodo più buio della sua vita.
Ci lascia ad appena 57 anni. Probabilmente non avrebbe mai sperato di poter vivere così a lungo e di poterci lasciare così tante testimonianze della sua anima artistica. So Long, Mark, siamo un po’ più soli nell’abisso dei nostri giorni.