Quando lo scorso 22 gennaio Bono Vox, cantante e leader degli U2, ospite del podcast Awards Chatter di The Hollywood Reporter, ha dichiarato di imbarazzarsi ad ascoltare praticamente tutti i brani della sua band ha detto una grande verità, soprattutto se riferita a “The Joshua Tree“. Ha ragione perché la storia della sua band, almeno fino a “Zooropa“, è fatta di dischi imbarazzanti, carichi di energia e poesia, come pochi altri sono riusciti a fare nella loro generazione.
The Joshua Tree, che proprio oggi compie il suo 35° compleanno, è senza dubbio la più imbarazzante tra le perle degli U2. E’ uno dei capolavori della storia della musica rock di ogni tempo, un successo commerciale da 28 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Esce il 9 marzo 1987, a distanza di 3 anni da “The Unforgettable Fire” che collocò i 4 ragazzi di Dublino in maniera definitiva nell’olimpo della musica. Consacrando gli U2 come fenomeno mondiale e il suo leader come icona generazionale.
Il disco, profondamente americano nei suoni della tradizione rock blues senza rinnegare il passato artistico della band, è esplosivo ed emozionante, divertente, affascinante, seducente, caldo, tagliente, provocatorio. Tutto quanto e tutto insieme, con la voce di Bono e la chitarra di The Edge al loro massimo splendore. Una partenza da brividi, perfetta, con, uno dopo l’altro, 3 brani da greatest hits del decennio: l’epica Where the Streets Have No Name, il gospel di I Still Haven’t Found What I’m Looking For e la ballad per eccellenza With or Without You.
IL J’ACCUSE DEGLI U2 ALL’INDUSTRIA DELLA GUERRA
Ma gli U2 degli anni ottanta sono una band in cui la musica ha un valore aggiunto, anzi un dovere, quello di raccontare la realtà anche nelle sue storture, nelle ingiustizie, nelle contraddizioni. Il terzetto successivo di brani diventa quindi il manifesto politico dell’album. L’urticante, polemica Bullet The Blue Sky è un j’accuse mirato all’industria della guerra in cui i paesi ricchi giocano sempre una partita a vincete. La struggente Running To Stand Still racconta l’abisso in cui conduce la dipendenza dall’eroina. Mentre Red Hill Mining Town é incentrata sulla vita dei minatori in un periodo di grave crisi che attanagliava il settore all’epoca.
La seconda metà del disco si apre con l’ode alla terra americana di In God’s Country. Passa attraverso le sofferenze amorose di Trip Through Your Wires e arriva al dolore profondo per la morte dell’amico Greg Carrol, uno degli assistenti della band, nella meravigliosa One Tree Hill. Il viaggio nelle sconfinate terre che portano all’albero di Giosuè si conclude con Exit, ispirato al film La morte corre sul fiume, che racconta di un uomo nel momento appena prima di compiere un omicidio e con l’omaggio alle Madri di Plaza de Mayo, le Mothers Of The Disappeared che denunciava o il fenomeno dei desaparecidos, dei dissidenti fatti sparire nel nulla nell’Argentina della dittatura a cavallo tra i ’70 e gli ’80.
Un disco imbarazzante nella sua perfezione anche a distanza di 35 anni, lo Zenith artistico della band irlandese assieme al successivo “Achtung Baby“. The Joshua Tree rimane un ascolto imperdibile per tutti gli appassionati di rock e tutti ma proprio tutti i fans degli U2, con buona pace di Bono.