Ammettiamolo, certe pagine di storia calcistica non andrebbero mai scritte. È curioso ritrovarsi ancora una volta nella straordinaria, ma mai esigibile frase: “la legge è uguale per tutti“. Evidentemente i tifosi del Cosenza Calcio non rientrano in questi ‘tutti‘, giacché figli forse di un Dio minore che ama trascorrere le giornate lanciando in aria una monetina.
Testa o croce? Riammissione in serie B o retrocessione in serie C? Sarebbe opportuno in via preliminare ricordare che, se una norma esiste, evidentemente chiunque è tenuto a rispettarla. Nonostante questo diktat però, il Chievo deve avere agganci assai importanti che non gli consentono minimamente di traballare su questioni come la giustizia e l’uguaglianza innanzi ad essa.
Si sorride leggendo qua e là sui social network di presunti tifosi e giornalisti che, patteggiano o sembrano erigersi a giudici superiori, tralasciando perfino quel pathos che caratterizza l’impulso primordiale più che naturale, di qualunque essere umano quando qualcosa a lui particolarmente cara, viene messa in pericolo.
Ma chi siamo noi in fondo per giudicare? Il primo vero principio della democrazia è quello di poter affermare, con educazione, ciò che realmente si pensa. Pertanto, che ben vengano commenti, indiscrezioni, previsioni, pronostici o addirittura scommesse tramite tiro dei dadi a chi, si sente più o meno fortunato.
I BUONI INSEGNAMENTI DA TRARRE
Atteso che, il TAR fugherà presto ogni dubbio, cerchiamo di trarre da questo ennesimo momento buio che la società Cosenza Calcio sta affrontando, qualche buon insegnamento. Che sia la volta buona che le tifoserie possano tornare unite? O che magari il presidente di turno o chiunque ricopra questo ruolo, si innamori completamente di questi due colori? Che sia fatta finalmente una degna programmazione per poter in serie C o in serie B fare un percorso sano e vincente? Che cessino definitivamente le polemiche perché si sa, alimentare un fuoco è assai semplice, ma spegnerlo, beh, quella è tutta un’altra storia!
Ma è con un interrogativo che preferisco lasciarvi: se nemmeno il COVID è riuscito ad insegnarci qualcosa, quanto siamo degni di gridare sugli spalti del “San Vito Marulla”: “sembra impossibile che penso ancora a te. Questa è una malattia che non va più via“?