È un Cristiano De André in stato di grazia quello che, nella calda serata di giovedì 24 luglio, ha conquistato il pubblico di una gremita Rendano Arena di Cosenza. L’artista non si risparmia, dando tutto sé stesso – e il repertorio dell’illustre padre – in ben due ore e mezzo di concerto, per la tappa cosentina del suo fortunato tour De André canta De André. Fabrizio De André resta uno dei cantautori più amati e iconici che la discografia italiana ci abbia regalato, e questo amore è stato riversato al figlio anche in quest’occasione. Del resto, chi meglio di Cristiano – o C., come veniva chiamato dal padre – poteva prendere questo testimone e tramandare l’arte paterna?
Una scaletta di 24 canzoni, riarrangiate e attualizzate ancor di più dall’artista genovese e dalla sua band, formata da Osvaldo Di Dio alle chitarre, Davide Pezzin al basso, Luciano Luisi alle tastiere e Ivano Zanotti alla batteria. Musicisti che hanno dato ampiamente prova del loro talento durante la lunga serata: da sottolineare la notevole performance strumentale sul finale di Amico Fragile e Canzone del padre. E proprio prima di Canzone del padre De André si racconta, come farà spesso durante il concerto.
UNA SERATA TRA NOTE E RICORDI
Nell’occasione, il cantautore si è confidato sulla difficoltà di portare un cognome così importante per il panorama musicale italiano, soprattutto se, come lui, si nasce con l’insopprimibile esigenza di fare musica e ripercorrere la stessa strada. Difficoltà che ha ammesso di aver riscontrato una volta debuttato per conto proprio e nonostante canzoni di ottima fattura come Dietro la porta (seconda classificata a Sanremo 1993). De André canta De André certifica l’aver fatto finalmente pace con questa eredità artistica, che adesso proprio lui porta degnamente e con entusiasmo in giro per l’Italia.
Mégu megún è la canzone scelta per fare il suo ingresso in scena, ed è una delle tre canzoni in dialetto genovese presentate, compresa la celeberrima Crêuza de mä. Queste due ore e mezzo di spettacolo hanno sicuramente mostrato le varie anime di Faber, da quella in genovese a quella più cantautoriale, dalla parte più impegnata a quella più intima, passando a quella più “popolare”. Una scelta fatta per mostrare a 360° gradi – per quanto possibile in mezzo a un repertorio sconfinato – l’arte Fabrizio De André, un artista complesso e dalle mille sfaccettature.

PACE, UN TEMA TANTO CARO A FABER
Altro filo conduttore del concerto è stata la parola pace. Tante volte De André sottolinea che il padre non avrebbe amato questi tempi e che la situazione internazionale lo avrebbe reso molto arrabbiato (ma in termini meno edulcorati). La frustrazione di Cristiano per le guerre e, soprattutto, la situazione di Gaza, sfocia in un breve sfogo seguito da un minuto di silenzio per Gaza.
Il pubblico lo segue convintamente, come fa per tutta la serata, non lesinando applausi a lui e ai suoi musicisti dopo gli episodi più virtuosistici, e accompagnando con il canto le canzoni più popolari e ritmate della scaletta. Tra queste ultime, citiamo naturalmente Don Raffaé, Bocca di Rosa e Il Pescatore, penultima canzone della serata, che ha visto il pubblico alzarsi in piedi, trascinato dal ritmo della musica. Da citare anche la parentesi acustica del trittico Andrea, Un giudice e La cattiva strada, per la quale De André ha voluto al suo fianco tutti i suoi musicisti.
Apprezzabile la scelta di concludere uno spettacolo coinvolgente e che ha conquistato i presenti con le note de La canzone dell’amore perduto. Un momento intimo, accentuato dal pianoforte di Cristiano De André, che durante la serata ha mostrato anche le sue doti di polistrumentista. Infatti, alle chitarre classica ed elettrica ha affiancato anche violino e pianoforte, dando prova di ecletticità anche musicale. La serata si conclude tra gli applausi di un pubblico che acclama De André che, nonostante il repertorio paterno, ora è anche Cristiano
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