Dopo la pubblicazione del 15 febbraio e la presentazione in anteprima a Taurianova, è stato presentato alla Libreria Mondadori di Cosenza “Ho Sognato la mia Terra“, libro edito da Vintura Edizioni. Autore il poeta, scrittore e conduttore televisivo Giuseppe Gervasi, originario di Siderno ma residente a Riace, paese salito alla ribalta nazionale per quella sorta di laboratorio sociale creato dall’ex sindaco Mimmo Lucano.
La presentazione è stata aperta dai saluti istituzionali della professoressa Antonietta Cozza, Consigliera con delega alla Cultura per il Comune di Cosenza, ed è stata moderata dalla poetessa Sonia Vivona. Sono intervenuti l’editore di Vintura Edizioni, Vincenzo Di Giorgio, e Franco Capalbo, Cultore della materia Turismo, Formazione e Occupazione presso l’Università della Calabria.
Un elogio della lentezza e delle nostre radici
Come recita la quarta di copertina, Ho sognato la mia terra è “un viaggio in macchina, lento come se al posto delle ruote ci fossero i piedi, in cui Giuseppe Gervasi porta il lettore alla scoperta e alla riscoperta di una terra che ha tanto da offrire agli animi affamati di verità e bellezza”. E la lentezza è il filo conduttore di questo viaggio alla scoperta di una Calabria in cui contraddizioni, bellezza e potenzialità inespresse si fondono come forse in nessun’altra regione italiana.
Si tratta di un viaggio e, allo stesso tempo, un sogno alla scoperta dei nostri luoghi. Perché, come spiega Sonia Vivona, viaggio e sogno sono fortemente connessi tra loro, oltre che con la poesia. Un viaggio poetico e malinconico, secondo Antonietta Cozza, in una Calabria sospesa tra la bellezza e l’abbandono. Questo libro è una dichiarazione d’amore per le proprie radici e un invito a riscoprire la magia di questo territorio. Sempre per Cozza, “l’autore ci prende per mano e ci accompagna in un viaggio nostalgico ma anche sensoriale“. Panorami, suoni, sapori, profumi di una terra che non si risparmia emotivamente e avvolge, forse anche travolge, i sensi del visitatore.
Perché “Ho sognato la mia terra”?
Ma perché l’autore ha scelto la dimensione onirica per esprimere il suo pensiero? “Quando rimanevo da solo in questi luoghi che ho conosciuto grazie alla trasmissione che conducevo su LaC TV (La terra del sole, ndr), da solo con la mia solitudine, mi sembrava di sognare ad occhi aperti. Questo è un modo per raccontare la nostra terra. Perché la nostra terra è un sogno, ma un sogno che potrebbe riservare delle brutte sorprese, perché io considero la Calabria come un fico d’India, spinoso ma quando riesci ad aprirlo c’è la dolcezza.”
Gervasi spiega il criterio con il quale ha scelto le località da inserire nel libro. “Ho visitato decine di località ma alla fine non le ho inserite tutte. In quelle che ho scelto ho avuto la fortuna di rimanere da solo e parlare direttamente con il luogo, perché questo non può essere considerato un libro che narra la storia della Calabria ma che narra soprattutto le emozioni di una terra meravigliosa.” Sono luoghi nei quali Gervasi ha stabilito una connessione con il luogo, diventando un tutt’uno con esso.
Un moderno Grand Tour
Il viaggio è anche riscoperta e autenticità, citando le parole di Franco Capalbo. È avere la curiosità di scoprire i luoghi che sono nella nostra prossimità. L’autore visita località a noi vicine dal punto di vista chilometrico ma dimenticate oltre che, spesso, abbandonate a se stesse. Suggestivo è il parallelismo che Capalbo fa con il Grand Tour, i viaggi compiuti tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo dalla nobiltà (prevalentemente inglese). Durante questi viaggi, che potevano durare anche diversi anni, si visitavano luoghi e culture lontane dalla propria, con un senso di tutela, rispetto e fascino per i posti visitati. Proprio come Gervasi nelle esperienze raccolte in Ho sognato la mia terra.
Tra gli incontri fatti dall’autore nel suo viaggio, significativo è il racconto dell’esperienza a Pentedattilo, nel cuore dell’area grecanica. Qui ha avuto modo di conoscere una donna, conosciuta da tutti come la pastora. Abbandonato il posto fisso a Roma, decide di trasferirsi a Pentedattilo, vivendo in una casa diroccata. Alla domanda di Gervasi del perché di questa scelta di vita, la donna risponde che si è innamorata della solitudine del luogo: se ne andrà da Pentedattilo il giorno che si ripopolerà. Questo messaggio è un elogio della lentezza e della solitudine, ma una solitudine voluta, non forzata.
Il nostro futuro è nelle piccole cose

Durante la sua esperienza di viaggio, Gervasi ha capito che il futuro della nostra terra risiede nelle piccole cose. Lo spiega ricordando la sua visita a Papaglionti, paesino del vibonese provato da abbandono, alluvioni e terremoti. In particolare, l’autore è rimasto colpito da una casa abbandonata, senza tetto. In quel momento ha capito che quella casa senza tetto aveva in realtà un contatto diretto con il cielo. Quel giorno il paese è stato fatto rivivere attraverso l’arte, il canto, la poesia.
Ci si chiede se Gervasi, attraverso Ho sognato la mia terra, abbia voluto più mettere in evidenza la bellezza della nostra terra o, piuttosto, i disagi e le difficoltà. Articolata è la risposta dell’autore. “È un elogio alla lentezza, alla tranquillità dei luoghi, e soprattutto un elogio a quei luoghi che rappresentano l’anima della nostra terra. Io credo che solo attraverso questi luoghi e ai valori di un tempo si possa ricreare una speranza per la Calabria.”
“Al tempo stesso vi sono luoghi praticamente abbandonati dove spesso ci sono case senza porte o tetti, tipo Ferruzzano o alcune località dell’area Grecanica come Papaglionti. Vuole essere una denuncia forte di uno stato di abbandono, che può essere colmato solo attraverso la cultura e la voglia di raccontare questi luoghi, per far si che possano effettivamente tornare a vivere.” Perché per l’autore, la nostra regione può salvarsi solo attraverso la cultura, il sogno e la semplicità delle piccole cose.
Conoscenza, cultura e sogno per risollevare la Calabria
Capalbo aggiunge che un problema atavico della nostra terra è la mancanza di collaborazione, di creare unione tra noi e apprezzare la nostra terra, avendo un senso di responsabilità e tutela verso di essi. Importante è conoscere i nostri luoghi: solo conoscendoli possiamo valorizzarli e svilupparli, perché lo sviluppo parte in primis da chi vi abita. Senza comunità non esistono i luoghi e viceversa.
Il messaggio che Giuseppe Gervasi vuole lanciare attraverso questo libro è di sognare insieme per far sognare la nostra terra, perché il sogno è coralità. Tocca a noi far si che questa terra di straordinaria bellezza possa garantire ai suoi abitanti strade sicure, sanità e lavoro, per far crescere qui i nostri figli e nipoti, senza costringerli a cercare un futuro altrove. Bisognerebbe dare ai luoghi un nuovo senso, senza soffermarsi soltanto sulla retorica dell’abbandono. Si passerebbe così dal sogno alla realtà, auspicio condiviso da un’intera regione, forse disillusa ma ancora in cerca di un riscatto.
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