La nota diffusa da Giovanna D’Ingianna, Vice Segretario Federale Italia del Meridione.
“Il tema del diritto alla cittadinanza è storicamente uno dei più delicati, in quanto particolarmente complesso da applicare e da sviscerare in tutte le sue specificità. Cosa significa essere cittadini di uno Stato? Quali sono i criteri da adottare? Sono queste le domande alle quali troppo spesso la politica stessa fatica a trovare una risposta, continuando a rimandare il problema, creando a sua volta una criticità. Non è un caso, allora, che quello sul diritto alla cittadinanza sia uno degli argomenti attualmente più dibattuti in Parlamento e stia creando divisioni anche all’interno della maggioranza.
A riprova della complessità della questione, nel mondo esistono diverse forme di diritto di cittadinanza: tra le più diffuse troviamo lo ius soli, lo ius sanguinis e lo ius scholae. Negli Stati Uniti viene applicato il primo, dunque acquisisce la cittadinanza solo chi nasce sul territorio americano. Scelta che dal loro punto di vista può essere ritenuta comprensibile, visto l’enorme e storico fenomeno migratorio che coinvolge le Americhe.
In molti altri Stati – fra cui l’Italia – vige invece il principio dello ius sanguinis, ovvero diritto di sangue. Il criterio si lega dunque al territorio di nascita di almeno uno dei genitori: se è venuto alla luce in Italia, il figlio sarà ritenuto italiano. Si tratta a tutti gli effetti di un diritto di cittadinanza per discendenza, che rende di fatto irrilevante il contesto culturale e sociale nel quale la persona è nata e cresciuta.
Personalmente, ritengo sia un tema che necessiti di una riforma. E accolgo con favore il fatto che in Parlamento ci siano discussioni in corso sull’urgenza di introdurre un criterio differente per la concessione della cittadinanza. Il criterio in questione si lega indissolubilmente all’istituzione e al luogo di formazione per eccellenza dei nostri bambini e ragazzi del domani: la scuola. La proposta dello ius scholae consiste nel riconoscere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che abbiano portato a termine un ciclo completo di frequenza scolastica. Si tratta della posizione espressa da Forza Italia, che sta incontrando reticenze difficilmente comprensibili da parte delle altre forze di maggioranza.
Sono fermamente convinta del fatto che la legge sullo ius scholae sia la soluzione da adottare, in quanto evade dalla collocazione geografica di nascita di uno dei genitori o della persona in questione (che può essere un dato temporaneo), abbracciando piuttosto concetti più nobili e dirimenti: l’integrazione, il senso identitario, il percorso di formazione, la simbiosi culturale fra una persona e lo Stato di appartenenza.
Essere cittadini italiani non può essere un’acquisizione derivante dal luogo di nascita, ma significa essere integrati con le dinamiche sociali, civili e relazionali che caratterizzano la nazione. Gli anni del percorso scolastico sono fondamentali per la formazione della personalità di ognuno di noi, perché si fondano sul continuo interscambio di conoscenze e apprendimento, tanto con gli insegnanti che con i propri coetanei. Ritengo profondamente ingiusto, dunque, che chi abbia completato un ciclo di studi completo nel nostro paese non possa essere riconosciuto come cittadino italiano, a causa di criteri rigidi come il luogo di nascita.
Lo ius scholae, inoltre, sarebbe particolarmente congeniale alla situazione attuale dell’Italia. Se lo ius sanguinis è un concetto da ritenersi ormai superato, anche lo ius soli non garantirebbe equità, anzi potrebbe creare l’esiziale effetto di regolarizzare la clandestinità volta unicamente ad ottenere la cittadinanza italiana. Con lo ius scholae verrebbero premiati e valorizzati, invece, i concetti di inclusione e di presenza dei cittadini stranieri anche nelle aree che si stanno spopolando. Basti pensare che – secondo l’ultimo report del ministero dell’Istruzione – i beneficiari dello ius scholae sarebbero circa 560.000 fra gli studenti con cittadinanza non italiana che hanno frequentato le scuole statali nell’ultimo anno.
In qualità di vice segretario federale di Italia del Meridione, auspico che si possano mettere da parte le sempre più consuete – purtroppo – rigidità ideologiche e questioni partitiche in nome di un tema così delicato. Italia del Meridione è un partito di natura post-ideologica, si concentra su temi concreti e tenta di individuare soluzioni mediante una democrazia partecipata capace di coinvolgere cittadini, istituzioni e partiti.
Pertanto, il nostro partito chiede un dibattito aperto su una questione di notevole importanza e che tocca con mano i destini e le vite di migliaia e migliaia di bambini e ragazzi, di oggi e di domani. Sono loro i primi a chiedere risposte alla classe dirigente: lo fanno in italiano, perché si sentono italiani, a prescindere dal colore della pelle e dal luogo di nascita. Perché qui si sono formati. È giunto il momento che il loro percorso e le loro storie vengano riconosciute”.