Better Call Saul

Che “Breaking Bad” sia stata una delle serie tv più amate e celebrate di ogni tempo lo sanno un po’ tutti. Quando nel 2012, all’alba dell’ultima stagione della serie, Vince Gilligan annunciò che sarebbe stato realizzato uno spin-off incentrato sul personaggio di Saul Goodman, furono in molti a chiedersi il senso di questa operazione. Volontà di prorogare il successo di Breaking Bad? Mancanza di idee? Domande lecite. Dato che produzioni nate da una costola della serie madre che ne abbiano raggiunto la stessa fama se ne ricordano pochissime. Figuriamoci se facciamo riferimento a una delle icone della serialità dei tempi moderni. Nessuno, probabilmente nemmeno lo stesso ideatore, avrebbe mai immaginato che “Better Call Saul” non solo non avrebbe sfigurato dinanzi al suo predecessore ma avrebbe finito col superarlo.

Con la 63esima puntata andata in onda il 16 agosto si è concluso il viaggio iniziato nel 2002 ad Albuquerque da Jimmy Mc Gill. L’attore diventerà nel corso degli anni prima Saul Goodman e poi Gene Takavic. E pur intrecciandosi ripetutamente con le vicende di “Breaking Bad”, ha acquisito una identità del tutto propria e personale. Merito senza alcun dubbio dello sceneggiatore, regista e produttore televisivo statunitense Vince Gilligan, che della serie è stato ideatore. Assieme al suo braccio destro Peter Gould ha esaltato le potenzialità di un personaggio che già nella serie principale era divenuto iconico non meno dei protagonisti Walter White e Jesse Pinkman.

Saul Goodman
Saul Goodman

“Better Call Saul” va oltre “Breaking Bad”

I due avrebbero potuto speculare sul successo ottenuto limitandosi a narrare le vicende di Saul successive al finale di “Breaking Bad”. O a raccontare i fatti che trasformarono Jimmy Mc Gill in Goodman. Gilligan e Gould invece sono si partiti dal passato lasciando però ben intendere sin da principio che i fatti narrati avrebbero trovato la loro conclusione ben oltre il finale di Breaking Bad.

La parabola del personaggio interpretato magistralmente da Bob Odenkirk si muove costantemente tra il drammatico e il grottesco. Mostra costantemente tutte le sfumature di un uomo che sceglie di vivere nell’inganno. Scaltro e intraprendente in ognuna delle sue vite. Raggiunge l’apice del successo proprio nel momento in cui perde ogni morale e lascia che il suo lato corrotto e privo di ogni scrupolo prenda il sopravvento. In questo momento scompare Jimmy e nasce l’apparentemente buffo e scalcinato avvocato. Dedito in realtà a prendersi cura degli interessi di malavitosi di vario genere. Con un nome che è tutto un programma: “It’s all good, man” che diventa Saul Goodman.

Un viaggio quello di “Better Call Saul” lungo e intenso, mai banale. Emozionante e divertente, un universo di vicende, sogni, personaggi pieno eppure mai caotico. Una regia maestosa, anche nella scelta di utilizzare il bianco e nero per raccontare la linea temporale del presente.

Un finale malinconico, lirico, che lascia un sorriso dolce amaro nel pensare alle scelte di Jimmy, che torna a essere se stesso anche se per tutti rimane Saul. “Saul gone“, il titolo dell’ultimo episodio, che è di nuovo un gioco di parole: “It’s all gone”, è tutto finito. Un piccolo, anzi no, un grande capolavoro. Una delle vette della narrativa seriale televisiva che sarà difficile per chiunque eguagliare.