Con qualche goccia di sudore in più, non solo per la fatica profusa ma per la sofferenza patita, l’Italia prosegue incessante il suo cammino a Euro 2020.
Alla vigilia del torneo la Figc aveva fissato nei quarti di finale l’obiettivo minimo, raggiunto brillantemente grazie ad una prima fase perfetta e un ottavo di finale in cui gli azzurri hanno dovuto giocoforza mettere da parte le sicurezze acquisite e iniziare a battagliare su un altro fronte. Fatto ciao ciao con la manina al terreno amico dell’Olimpico e al pubblico di casa, se si fa eccezione per la gara di esordio, quando ad assiepare gli spalti dell’impianto del foro italico erano perlopiù tifosi turchi, gli azzurri hanno sorvolato la manica con destinazione Londra.
Altro giro, altra corsa, altra dimensione, altra realtà; con queste varianti, anche se di questi tempi il termine è abusato ed a senso unico ahinoi, Bonucci e soci si sono dovuti confrontare nella serata di Wembley. Nessuno pensava di poter fare un sol boccone dell’Austria: nelle gare ad eliminazione diretta, sotto l’egida del mors tua vita mea, la forza dell’avversario, con qualità tecniche annesse, conta tanto quanto. Azzerati i complimenti ricevuti da più parti, anche da chi non ha mai perso occasione di stigmatizzare quella attitudine tutta italica di chiudersi e ripartire e di fronte alle fattezze rinnovate della creatura plasmata da Roberto Mancini ha strabuzzato gli occhi. Accantonate le carezze al pallone, riposto nel cassetto il fioretto, dall’intervallo di Italia – Austria in poi, fatto trascorrere il naturale sbandamento iniziale, con sospiro di sollievo annesso per il gol annullato ad Arnautovic, si è dovuto badare più al sodo, senza disdegnare i ceffoni e la spada.
Se la partita non si sblocca, se l’avversario guadagna metri sul campo di battaglia, il nervosismo aumenta. Qui subentra la capacità di adattamento ad un mood diverso, alla realtà che sapevamo di trovarci di fronte sconfinando dalla nostra comfort zone. Nuova linfa al centrocampo, con gli ingressi di Locatelli e Pessina al posto degli annebbiati Verratti e Barella. Vigore ed energia all’attacco: tradotto in soldoni dentro Chiesa, fuori un timido Berardi. Quel che basta, pallone addomesticato con maestria, spostato sul piede buono et voilà, Bachmann è superato.
La serata delle prime volte si arricchisce di un nuovo record: 31 partite senza sconfitte (superata a distanza di 82 lunghissimi anni la striscia vincente di Vittorio Pozzo), 1.169 di imbattibilità della porta azzurra (primato cui ha contribuito Donnarumma con la complicità di Sirigu e Meret) e riconoscimento in casa Chiesa. Enrico ad Euro ’96, Federico ad Euro 2020/1: papà e figliol prodigo in gol a distanza di 25 anni, non era mai successo nella massima competizione continentale a livello nazionale.
Matteo Pessina mette poi la ciliegina sulla torta azzurra addolcendo il primo sabato estivo di milioni di italiani in adorazione di fronte a TV e maxischermi. Si continua a tribolare quando Karajdzic consegna altri 8 minuti di puro terrore sportivo. Tensione stemperata dalla traversata coast to coast di Di Lorenzo e dalla quasi doppietta di Chiesa. Cancellata definitivamente quando il severo e inappuntabile signor Taylor fischia tre volte. L’urlo di liberazione è collettivo e dentro c’è molto: la voglia di festeggiare innanzitutto, di farlo insieme in una ritrovata semi libertà, la speranza di mettersi definitivamente alle spalle un anno e mezzo di paura e restrizioni.
Magari abbracciandosi, come fanno due vecchi amici, che non hanno mai smesso di esserlo e insieme vogliono regalare e regalarsi un sogno. Come due gemelli del gol, come Vialli e Mancini.